Il “controllo” dei lavoratori è da tempo oggetto di importanti discussioni giurisprudenziali e dottrinali volte ad interpretare e, mi si conceda, ad attualizzare una normativa che si colloca, per sua originaria formulazione, in un contesto temporale specifico caratterizzato da grandi conflitti sociali, culturali e politici, contesto questo oltremodo distante dalla cultura tecnologica che ha investito l’odierno mondo del lavoro.
Il Legislatore, nel tentativo di dirimere ogni conflitto interpretativo formatosi, ha recentemente inteso revisionare la disciplina dei c.d. controlli a distanza di cui all’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/70) cercando di conciliare l’incessante esigenza di assecondare l’evoluzione tecnologica che caratterizza l’attuale contesto lavorativo (si pensi ad esempio al pressoché unanime utilizzo di internet, dei cellulari e dei sistemi GPS) con la primaria necessità di tutelare la dignità e la riservatezza di ogni lavoratore come espressamente riconosciuto dagli artt. 1 e 8 della citata normativa.
Prima della riforma introdotta dal “Jobs Act” vigeva un generale divieto assoluto di utilizzo di impianti di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, fatta eccezione nei casi in cui gli stessi fossero istallati per “esigenze organizzative, produttive o di sicurezza del lavoro”. La liceità di ogni installazione necessitava di un preventivo accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, di un’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro competente.
In tale ottica e su tali basi si collocano, quindi, gli interventi legislativi più recenti, di cui all’art. 23 del decreto legislativo n. 151/2015 (in vigore dal 24 settembre 2015) e di cui all’art. 5 c. 2 D.Lgs. n. 185/2016 (in vigore dal 8 ottobre 2016 e contenente disposizioni correttive ed integrative al D.Lgs. 151/2015), entrambi volti ad “aggiornare”, pur senza stravolgere, la disciplina concernente il controllo dei lavoratori ed il corretto utilizzo dei relativi dati.
La riforma de qua modifica in parte la previgente formulazione dell’art. 4 Statuto dei Lavoratori che oggi introduce nuovi e diversi profili di controllo datoriale tra cui, per quanto di interesse nella presente trattazione, quelli relativi ai c.d. strumenti di lavoro, differenziandoli dal generalizzato controllo a distanza.
Più precisamente, l’art. 4, L. 300/70, comma 2, prevede che “La disposizione di cui al comma 1 [procedure preventive di approvazione] non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”.
Le limitazioni e le procedure (sindacali e/o amministrative) descritte nel capoverso precedente, pertanto, non si applicano all’utilizzo degli strumenti che il datore di lavoro assegna ai propri dipendenti per fini lavorativi, i quali non rispondono infatti alla precipua finalità di ottenerne il controllo e/o verificarne gli spostamenti, ma risultano un mezzo utile allo svolgimento della prestazione lavorativa (si pensi, ad esempio, ai computer, ai telefoni e ai cellulari che normalmente vengono assegnati al lavoratore già in fase di assunzione) e/o a finalità di rilevazione della presenza (badge).
In tali fattispecie, il “controllo” datoriale è libero e può essere effettuato anche senza dover ricorrere ad una giustificazione circa la presenza di un’esigenza organizzativa o produttiva.
Unici limiti, specificamente previsti dall’ultimo comma dell’art. 4 Statuto dei Lavoratori, si riferiscono all’utilizzo che il datore di lavoro potrà in ipotesi effettuare delle informazioni raccolte attraverso l’esercizio del suddetto potere di controllo, il quale, in ogni caso, dovrà essere strettamente connesso al rapporto di lavoro e sarà gravato da obblighi di corretta informazione nei confronti dei dipendenti (circa le modalità con le quali dovranno essere utilizzati gli strumenti concessi in dotazione, le modalità con le quali verrà esercitato il controllo) e, comunque, sempre nel rispetto di quanto disposto dal D.Lgs. n. 196/2003 – Codice della Privacy.
(A cura dell’Avv. Marcello Giordani – marcello.giordani@studiozunarelli.com)