E’ prassi consolidata di alcuni datori di lavoro concedere ai propri dipendenti aumenti e/o “adattamenti” retributivi attraverso l’erogazione della c.d. indennità di trasferta la quale, a differenza della normale retribuzione, gode di una contribuzione agevolata.
Ciò che si considera, quindi, un immediato risparmio economico comporta però il rischio per la Società di essere condannata a corrispondere importi ulteriori rispetto a quelli già versati nel caso in cui venga accertato che la trasferta indicata non sia mai avvenuta.
L’indennità di trasferta, infatti, deve essere riconosciuta al lavoratore unicamente in caso di temporaneo svolgimento dell’attività lavorativa in luogo diverso dalla sede contrattuale di lavoro e potrà erogarsi in aggiunta, o in alternativa, al rimborso delle spese sostenute.
Considerarla, quindi, quale elemento sostitutivo o maggiorativo, anche una tantum, dell’ordinaria retribuzione può avere effetti controproducenti con il rischio per la Società di corrispondere al proprio dipendente importi ulteriori a quelli già versati.
Sul punto, è intervenuto recentemente il Tribunale di Milano che con sentenza n. 1846/16 ha dichiarato come, per verificare la correttezza della posizione retributiva/contributiva di un lavoratore, non si debba tenere conto delle somme corrisposte a quest’ultimo a titolo di trasferta, laddove questa non sia mai avvenuta.
Più precisamente, il Giudice ambrosiano chiamato a decidere sull’esistenza di alcune differenze retributive lamentate da un lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro, ha stabilito che “l’indennità di trasferta … non ha funzione retributiva bensì restitutoria e compensativa del disagio conseguente allo svolgimento dell’attività lavorativa fuori sede; per tale ragione, tra l’altro, essa è soggetta ad un regime fiscale e contributivo diverso da quello applicato alle voci retributive. Avendo natura e funzione del tutto eterogenee rispetto ai compensi per lavoro ordinario e straordinario, le somme percepite dai ricorrenti a titolo di trattamento di trasferta migliorativo non si ritengono pertanto detraibili dai primi”.
Al fine di evitare il rischio di ulteriori esborsi, quindi, il datore di lavoro – eventualmente chiamato a dimostrare il corretto utilizzo dell’indennità – dovrà provare, anche documentalmente (si pensi ad esempio al “foglio di trasferta”), l’effettivo svolgimento della trasferta da parte del dipendente ovvero, in assenza di ciò, l’esistenza di un accordo simulatorio intervenuto tra le parti
Diversamente, il datore di lavoro potrà essere chiamato a versare al dipendente importi ulteriori senza possibilità di ripetere quanto corrisposto a titolo di indennità di trasferta.
(A cura dell’Avv. Marcello Giordani – marcello.giordani@studiozunarelli.com)