Secondo quanto previsto dall’art. 28 D.Lgs. 81/08, spetta al datore di lavoro l’onere di valutare le condizioni lavorative in cui operano i propri dipendenti, in modo tale da ridurre o prevenire i rischi che possano degenerare in malattie professionali riconducibili allo stress lavoro-correlato.
Lo stato di stress si ripercuote negativamente a livello lavorativo e a livello personale.
Nel primo caso incide sulla produttività aziendale, nel secondo caso si riflette in modo negativo sulla vita personale e di relazione, nonché sulle condizioni di salute dell’individuo, potendo addirittura essere causa di infortuni sul lavoro.
Il demansionamento, la dequalificazione e il trasferimento illegittimo, nonché ogni condotta caratterizzata da vessatorietà e da ingiustizia da parte del datore di lavoro nei confronti di un proprio dipendente, possono arrecare a quest’ultimo un significativo danno all’integrità fisica e psichica.
Dottrina e giurisprudenza hanno di recente ricondotto una parte delle sopramenzionate condotte (illegittime e vessatorie) ad una fattispecie giuridica e fattuale di comportamento datoriale, il c.d. straining che, nonostante mostri alcune similitudini con il mobbing, si differenzia da esso per il modo in cui è perpetrata l’azione vessatoria.
Più precisamente, si ha mobbing ogni qualvolta l’azione di molestia sia caratterizzata da una serie di condotte ostili, continue e frequenti nel tempo, comportanti un danno alla salute, il quale può essere messo in relazione all’azione persecutoria svolta sul posto di lavoro.
Nello straining, invece, viene unicamente meno il carattere della continuità delle azioni vessatorie.
In termini civilistici l’incidenza dello straining sul contratto di lavoro deriva dalla violazione dell’art. 2087 c.c. in combinato disposto con l’art. 2103 c.c. secondo cui il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure idonee a prevenire sia i rischi insiti all’ambiente di lavoro, sia quelli derivanti da fattori esterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova. A ciò si aggiunga che la sicurezza del lavoratore è un bene di rilevanza costituzionale ed impone al datore di lavoro di anteporre al proprio profitto la sicurezza di chi esegue la prestazione.
Dal punto di vista giuridico è prevista la risarcibilità del danno, inteso come forma di danno esistenziale, al lavoratore al verificarsi di un pregiudizio che per poter essere quantificato deve essere osservabile e descrivibile.
La valutazione di siffatto pregiudizio, per sua natura privo delle caratteristica della patrimonialità, non può che essere effettuata dal Giudice in virtù di un parametro equitativo, essendo difficilmente utilizzabili parametri economici o reddituali.
In assenza di parametri normativi, di origine legale o contrattuale, la prevalente giurisprudenza di merito ha posto a criterio base per la quantificazione del risarcimento l’intera retribuzione percepita dal lavoratore moltiplicata per il numero di mesi in cui si è perpetrata l’azione lesiva.
(A cura dell’ Avv. Marcello Giordani – marcello.giordani@studiozunarelli.com)