Si segnala la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea depositata il 6.11.2014 (causa C- 42/13), avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia circa l’interpretazione dell’art. 45 della direttiva 2004/18/CE sul coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (recepita in Italia con il D.lgs n. 163/2006).
La vicenda trae origine dall’esclusione di una costituenda Associazione temporanea di imprese (composta dalla Cartiera dell’Adda e dalla Cartiera di Cologno Monzese S.p.A.(d’ora in poi CCM) dalla procedura di aggiudicazione nell’ambito di un appalto indetto dalla società CEM Ambiente S.p.A., a causa del mancato deposito – contestualmente alla presentazione della propria offerta – della dichiarazione sull’assenza di procedimenti penali a carico del soggetto indicato quale direttore tecnico, come prescritto dall’articolo 38 del D.Lgs. n. 163/2006.
Occorre, tuttavia, evidenziare che l’offerente, a seguito dell’avvenuta conoscenza del provvedimento di esclusione, aveva inviato alla CEM Ambiente una dichiarazione in cui si segnalava la mancanza di qualsivoglia causa ostativa ex art. 38 del codice dei contratti pubblici in capo all’interessato, nonché l’errata qualificazione quale direttore tecnico di un soggetto che, in realtà, rivestiva solo il ruolo di consigliere di amministrazione della CCM. A fronte del mancato riscontro da parte della CEM Ambiente, l’ATI presentava ricorso al Tar al fine di ottenere l’annullamento della decisione di esclusione dalla procedura di aggiudicazione. Con sentenza del 25 maggio 2011, Il Tar accoglieva il ricorso, ma al tempo stesso respingeva la domanda volta ad ottenere l’aggiudicazione del contratto.
La pronuncia del Tar veniva impugnata dalla CEM Ambiente dinanzi al Consiglio di Stato e successivamente la Cartiera dell’Adda adiva il giudice del rinvio per l’ottemperanza della medesima sentenza.
Con una pronuncia del 31 marzo 2012, il supremo organo di giustizia amministrativa accoglieva il ricorso della CEM Ambiente, ritenendo che il mancato deposito della dichiarazione de qua dovesse comportare l’esclusione dell’impresa offerente dalla procedura di selezione, almeno nelle ipotesi in cui (come nel caso di specie) la lex specialis preveda l’esclusione dalla procedura di aggiudicazione in caso di mancata produzione di una dichiarazione obbligatoria.
Nel procedimento per ottemperanza, Il TAR sottoponeva alla Corte di Giustizia la questione relativa alla compatibilità con il diritto dell’Unione europea dell’impossibilità – per un’impresa partecipante ad una procedura di gara – di rimediare, successivamente al deposito della propria offerta, alla mancata allegazione alla stessa di una siffatta dichiarazione.
La Corte di Giustizia, nella sentenza in esame, ha precisato che l’amministrazione aggiudicatrice deve “osservare rigorosamente i criteri da essa stessa fissati” (punto 42). Orbene, nel caso di specie, secondo la Corte risultava pacifico dai documenti dell’appalto di cui al procedimento principale che, da un lato, la «dichiarazione sostitutiva» di cui all’articolo 38 del D.Lgs. n. 163/2006, riguardante la persona indicata come direttore tecnico dell’offerente, dovesse essere allegata alla domanda di partecipazione presentata da quest’ultimo a pena di esclusione dalla procedura di aggiudicazione e, dall’altro, che fosse possibile rimediare solo “a irregolarità meramente formali e non decisive per la valutazione dell’offerta”. In particolare, secondo la Corte, “nei limiti in cui l’amministrazione aggiudicatrice ritenga che tale omissione non costituisca un’irregolarità meramente formale, essa non può permettere a tale offerente di rimediare successivamente a tale omissione, in qualsivoglia modo, dopo la scadenza del termine stabilito per il deposito delle offerte” (punto 45).
Alla luce delle suddette considerazioni, la Corte ha ritenuto legittimo il provvedimento di esclusione dell’ATI dall’appalto, osservando come tale decisione, pur se rigorosa, sia volta ad assicurare il principio della parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza a cui sono soggette le amministrazioni aggiudicatrici in forza dell’articolo 2 della direttiva 2004/18.
Occorre infine segnalare che la quaestio appena esaminata sembra sia stata superata grazie alle recenti modifiche apportate all’art. 38 del codice dei contratti pubblici. In particolare, il nuovo comma 2-bis, (inserito dall’art. 39, comma 1, D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114) ammette la possibilità di sanare “la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2” dell’art. 38 D.Lgs. 163/2006 con il pagamento di una sanzione pecuniaria a favore della stazione appaltante.
(A cura dell’Ufficio di Bologna – Avv. Andrea Giardini – 051 2750020).