La legge 296/2006 ha rivisitato i criteri di determinazione dei canoni per le concessioni balneari. Dopo quasi 15 anni dall’entrata in vigore della citata legge, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello di una impresa concessionaria, assistita dal Prof. Stefano Zunarelli e dall’Avv. Vincenzo Cellamare, alla quale il Comune di Roma ha applicato illegittimamente aumenti rilevantissimi.
Il caso
Il Comune di Roma, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 296/2006, applicava, a partire dall’anno 2007, a carico di una società titolare di una concessione di beni del demanio marittimo rilevanti aumenti del canone rispetto a quanto indicato nell’atto di concessione.
La società, ritenendo illegittimo ed eccessivo l’aumento applicato dall’Amministrazione comunale, si rivolgeva quindi allo Studio per tutelare le proprie ragioni.
Il TAR Lazio, sede di Roma, respingeva il ricorso proposto dalla società concessionaria, la quale proponeva appello avanti il Consiglio di Stato, dagli Avv.ti Prof. Stefano Zunarelli e Vincenzo Cellamare.
Le argomentazioni dello Studio
La società concessionaria, assistita dallo Studio, sosteneva che la rideterminazione del canone demaniale in applicazione dei parametri stabiliti dalla legge n. 296 del 2006 avrebbe dovuto implicare, da parte dell’Amministrazione, una necessaria e scrupolosa attività procedimentale.
Detta attività avrebbe dovuto consistere nella verifica dei presupposti applicativi e nella qualificazione delle opere insistenti sull’area in concessione, con particolare riguardo alle pertinenze demaniali.
Ciò dal momento che la legge n. 296 del 2006 non si è limitata a prevedere un semplice aggiornamento dei canoni demaniali sulla base dei preesistenti valori tabellari, ma ha profondamente rivisitato i criteri di determinazione dei canoni medesimi con riferimento, in particolare, alla categoria delle cosiddette “pertinenze”, per le quali è stata introdotta una valorizzazione in base a criteri di mercato.
Nel caso di specie, il Comune di Roma non aveva intrapreso alcuna attività procedimentale prima di emettere gli ordini di introito a rideterminazione del canone concessorio.
La sentenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, in accoglimento delle argomentazioni dello Studio, con una sentenza destinata a fare giurisprudenza statuiva che “la partecipazione del privato sarebbe stata ed è quanto mai necessaria e imprescindibile al cospetto di determinazioni autoritative che presuppongono non già la mera applicazione matematica di parametri legislativi ad effetto vincolato quanto piuttosto in presenza di un procedimento, di carattere tecnico-discrezionale, che mette in discussione i presupposti della concessione e della sua natura. La rideterminazione del canone demaniale in applicazione dei parametri stabiliti dalla l. n. 296 del 2006 implicava, infatti, una necessaria e scrupolosa attività procedimentale, consistente nella verifica dei presupposti applicativi e nella qualificazione delle opere insistenti sull’area in concessione, con particolare riguardo alle pertinenze demaniali. E ciò dal momento che la l. n. 296 del 2006 non si è limitata a prevedere un semplice aggiornamento dei canoni demaniali sulla base dei preesistenti valori tabellari, ma ha profondamente rivisitato i criteri di determinazione dei canoni medesimi con riferimento, in particolare, alla categoria delle cd. “pertinenze”, per le quali è stata introdotta una valorizzazione in base a criteri di mercato”.
La sentenza sanziona, in particolare, l’azione amministrativa per “la violazione delle fondamentali regole e garanzie che presiedono alla partecipazione procedimentale, di cui all’art. 7 della l. n. 241 del 1990”, con il conseguente annullamento di tutti gli atti di introito “nella misura in cui non sono stati preceduti da nessun atto di interlocuzione procedimentale con la società, odierna appellante, che avrebbe potuto fornire, già in sede procedimentale, un ampio apporto conoscitivo, se non valutativo, delle circostanze utili alla determinazione dei canoni concessori qui contestati.
Peraltro, il Consiglio di Stato, nel medesimo provvedimento, esamina le richieste di pagamento dei canoni anche sotto il profilo della carenza della motivazione affermando che “in una vicenda in cui vengono ad essere, se non modificati, certo fortemente incisi i presupposti fattuali ed economici della concessione l’amministrazione non può limitarsi ad operare in assenza di qualsivoglia interlocuzione procedimentale e di un minimo supporto motivazionale un calcolo matematico peraltro basato su parametri opinabili e comunque puntualmente contestati. Diversamente, diventa impossibile per il privato comprendere, prima ancora che contestare, l’azione amministrativa quando impatta fortemente sulla sua sfera individuale e, in particolare, sull’esercizio della propria attività imprenditoriale, salvo doverne poi contestare in giudizio, con un ricorso al buio, la legittimità”.
A cura del Prof. Avv. Stefano Zunarelli, Founding Partner (email: stefano.zunarelli@studiozunarelli.com) e dell’Avv. Vincenzo Cellamare, Junior Partner (email: vincenzo.cellamare@studiozunarelli.com)