Nelle ultime settimane il Governo ha adottato numerosi provvedimenti in tema di lotta al coronavirus.

In particolare, con i DPCM dell’8, 9 ed 11 marzo 2020 è stata dettata una serie di comportamenti tesa ad arginare, in tutto il territorio, l’aumento esponenziale dei casi di Covid-19.

Da ultimo, il 22 marzo 2020 il Governo ha emanato un’ordinanza recante il divieto di trasferirsi in un Comune diverso da quello in cui ci si trova, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o per motivi di salute.

Mentre taluni dei comportamenti descritti dalle disposizioni in parola sono riconducibili a mere raccomandazioni la cui inosservanza è priva di conseguenze, altri sono considerati veri e propri obblighi che, se violati, integrano condotte sanzionate da disposizioni penali.

A quanto sopra si aggiungono obblighi amministrativi imposti, ad esempio, a carico dei gestori di pubblici esercizi o attività commerciali.

In tema di rilevanza penale, tra i reati ipotizzati vi è certamente l’art. 650 c.p. (applicabile ai casi di mancato rispetto delle misure di contenimento imposte), contravvenzione che si realizza con l’inosservanza di “un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene”.

Laddove il fatto non costituisca un più grave reato, la sanzione è quella dell’arresto fino a tre mesi o quella dell’ammenda fino a 206,00 euro.

Le violazioni più frequentemente sanzionate dalla contravvenzione in parola sono, in primo luogo, quelle che riguardano gli spostamenti vietati. A queste ipotesi si aggiungono, esemplificativamente, quelle altrettanto frequenti di mancato rispetto delle distanze di sicurezza, inosservanza del divieto di assembramenti o di chiusura di alcuni esercizi commerciali.

L’art. 650 c.p., rinviando genericamente ad un “provvedimento legalmente dato dall’Autorità”, è privo di per sé di uno specifico precetto penale cui il cittadino possa ottemperare (c.d. “norma penale in bianco”) e, pertanto, è piuttosto arduo individuare i confini di liceità delle condotte che, in questo periodo, ognuno di noi si trovi a porre in essere.

 

Anzi, vi è addirittura chi dubita dell’applicabilità della norma penale in parola proprio perché le disposizioni ministeriali non conterrebbero precetti ma soltanto inviti e raccomandazioni.

A prescindere da tali preliminari valutazioni, per comprendere appieno i profili del ricordato reato è necessario fare riferimento ai provvedimenti che vengono via via emanati.

A tale proposito è certamente utile fare riferimento alle linee guida dettate dal Governo, di agile lettura e costantemente aggiornate, consultabili al link

http://www.governo.it/it/articolo/decreto-iorestoacasa-domande-frequenti-sulle-misure-adottate-dal-governo/14278 .

Tali informative non risultano, però, ancora sufficienti per una completa panoramica dei comportamenti permessi e proibiti: le singole Regioni e persino i Comuni hanno, infatti, un autonomo potere (limitato al rispettivo ambito territoriale) in forza del quale dettare ulteriori obblighi e divieti rispetto a quelli contenuti nei Decreti Ministeriali. In altri termini, ciò che è lecito in una Regione o in un Comune non è scontato sia tale anche in altro luogo del territorio italiano.

Inoltre, come prevedibile, l’assoluta novità delle contestazioni mosse ai cittadini sta determinando diverse linee interpretative da parte delle Procure della Repubblica.

Alcune di esse hanno già reso noti i propri orientamenti che, ricordiamo, si differenziano anche in ragione delle specifiche disposizioni emanate nelle circoscrizioni di riferimento.

La Procura di Milano, ad esempio, sta valutando l’applicazione di una norma più rigida rispetto a quella dell’art. 650 c.p.: si tratta del “meno noto” art. 260 del Testo Unico delle leggi sanitarie (risalente agli anni ’30) secondo il quale “chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo” è punito con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda fino a 400,00 euro. “Se il fatto è commesso da persona che esercita una professione o un’arte sanitaria la pena è aumentata”.

In territorio ligure, invece, la Procura di Genova è attualmente orientata a riconoscere comunque la violazione dell’art. 650 c.p. ma a delimitare il confine degli spostamenti permessi, ad esempio in caso di uscita dal domicilio per esigenze di approvvigionamento, “se non nello stesso quartiere, quantomeno nella stessa circoscrizione […]” e “anche per le attività fisiche e motorie, concesse a meno di creare assembramenti” (così il Procuratore Capo Francesco Cozzi).

C’è invece chi, come il Procuratore Capo di Trieste Carlo Mastelloni, invoca una costosa sanzione amministrativa, più dissuasiva ed “agile” rispetto alla contestazione penale e che rischierebbe di rallentare ulteriormente l’attività giudiziaria.

Accanto alla figura contravvenzionale in parola è stata altresì ipotizzata, in più occasioni, la possibile contestazione delle più gravi figure di falso contemplate agli art. 483 c.p. (“Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”) e 495 c.p. (“Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”).

Si tratta, questa volta, di delitti e non di contravvenzioni che prevedono sanzioni molto più severe (fino a 6 anni di reclusione per la falsità di cui all’art. 495 c.p. e fino a due anni nel caso di cui all’art. 483 c.p.).

Tali ipotesi di reato sono state sino ad oggi astrattamente ritenute ravvisabili ogniqualvolta, in occasione dell’attività di controllo, alla violazione degli obblighi indicati dalle normative regolamentari (che fanno “scattare” la contestazione del reato di cui all’art. 650 c.p.) si sia accompagnata la falsa dichiarazione alle autorità in ordine alle motivazioni dello spostamento.

Le ragioni dello spostamento devono infatti essere indicate in un’apposita dichiarazione nella quale l’interessato altresì attesta la conoscenza delle misure di contenimento del contagio e delle sanzioni previste in caso di inottemperanza.

Anche con riguardo alle al falso non sono mancati i dubbi interpretativi ed ipotesi applicative.

Infatti, per un verso, la natura delle dichiarazioni rese dall’interessato non è riconducibile all’autocertificazione di cui al D.P.R. 445/2000 (il riferimento è stato correttamente eliminato dal nuovo modulo da utilizzare dal 17 marzo 2020) e, per altro verso, al contenuto dell’attestazione difficilmente può applicarsi tout court una delle figure di reato previste in tema di falsità commesse da soggetti privati.

 

Uno spunto utile è stato reso noto sempre dalla Procura di Genova che ha del tutto escluso la configurabilità del delitto previsto dall’art. 483 c.p., trattandosi di reato che si configura nel caso di falsità relativa ai “fatti di cui l’atto è destinato a provare la verità”. Nel caso di dichiarazione resa dallo stesso interessato alle autorità non ci si troverebbe infatti in presenza di una attestazione idonea a provare la verità dei fatti dichiarati.

 

Quanto all’art. 495 c.p., la sua contestazione sarebbe legittima, ma solo nell’ipotesi in cui l’interessato formulasse una falsa attestazione avente ad oggetto “l’identità, lo stato od altre qualità della persona”.

In ogni caso, si tratta di una prima lettura delle disposizioni che non vincola in alcun modo né le altre Procure né, tantomeno, i Giudici che presto saranno chiamati a fornire la propria interpretazione delle norme in commento.

Da ultimo, si ricorda che tra le fattispecie astrattamente contestabili vi è anche, secondo alcuni, il delitto di epidemia (anche nella forma colposa) nel caso in cui il soggetto non ottemperasse all’imposta quarantena o violasse il prescritto isolamento in caso di positività al virus, reato sanzionato in maniera estremamente severa dall’art. 438 c.p., a norma del quale “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo”. Nelle ipotesi colpose la pena è, invece, quella della reclusione da uno a cinque anni e da tre a dodici anni, laddove dal fatto derivi la morte di più persone.

Una costante e corretta informazione, in questo particolare periodo, appare perciò imprescindibile al fine di evitare la contestazione di reati che la semplice mancata conoscenza della normativa non sarebbe sufficiente ad escludere.

 

(a cura dell’Avv. Federica Fantuzzi, federica.fantuzzi@studiozunarelli.com)

CategoryDiritto penale

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