La grave emergenza sanitaria in atto suscita l’interrogativo, di certo secondario rispetto alle attuali priorità ma nondimeno meritevole di considerazione, di quali ne siano gli effetti sugli impegni contrattuali assunti in materia di logistica. Ciò tanto più alla luce dell’ancor più marcata strategicità del comparto in una fase in cui l’approvvigionamento di beni di prima necessità deve farsi carico anche delle criticità causate dalle restrizioni alla mobilità.

I precedenti in materia sono, ovviamente, scarsi e per lo più non specificamente legati alla materia, ma dalla loro analisi è dato trarre qualche considerazione.

Scandagliando le riviste ottocentesche si reperiscono decisioni che sembrano denunciare, da ciò che si può dedurre dalle massime, un’apparente impermeabilità del contratto agli effetti delle epidemie: al Comandante era negato di domandare la risoluzione del contratto di noleggio della nave in ragione del colera che fosse scoppiato nel porto di destinazione (Trib. Marsiglia, decr. 7.9.1836), si negava che il conduttore di stabilimento termale potesse pretendere dal locatore una riduzione del canone in ragione del calo degli affari cagionati dal colera (Trib. Torino, 4 giugno 1869) o che la parte obbligata a trascrivere una domanda di cancellazione di ipoteca avesse il diritto di giustificare il proprio ritardo nel compierla per il fatto che la città dove essa doveva essere richiesta (Ancona) era colpita dal colera (Cass. 12 luglio 1867). Si noti che in tutti tali casi le pronunce si riferiscono all’epidemia di colera, dunque fenomeni che in comune con quello attualmente in atto hanno, appunto, il carattere epidemico.

Il solo precedente edito in tempi recenti è una decisione della Corte di Cassazione (n. 16315/2007) che, pronunciandosi con riguardo agli effetti di un’epidemia (si trattava di dengue emorragico) sulle obbligazioni contrattuali, ha stabilito che la sua diffusione nel luogo di destinazione di un “pacchetto turistico” tutto compreso facesse venir meno l’interesse pratico del creditore a godere della relativa prestazione, causando l’impossibilità sopravvenuta dell’utilizzabilità di essa, estinguesse il rapporto obbligatorio e di conseguenza il contratto, per irrealizzabilità della relativa causa concreta.

I pochi elementi che è dato trarre dal confronto tra i due approcci evidenziano come due secoli orsono l’evenienza di epidemie fosse considerata fatto tutt’altro che imprevedibile, giustificando al più il ritardo nell’adempimento, ma non l’inadempimento, tanto più ove protratto dopo la cessazione dell’epidemia, mentre oggi parrebbe – e il condizionale è imposto dal fatto che un singolo precedente, seppur autorevole, non consente di trarre conclusioni d’ordine generale –  che i Giudici tendano a riconoscere ad un’epidemia la capacità di incidere in maniera radicale sul contratto, apparentemente in ragione del mutato contesto socio economico (acquisizione di rango costituzionale di diritti della persona quali la vita e la salute, la cui compressione non appare oggi giustificata rispetto a ragioni di carattere economico connesse ad obblighi contrattuali assunti; rarefazione dei fenomeni epidemiologici nei Paesi di più lunga tradizione industriale; estrema facilità con cui oggi i virus si diffondono rispetto al passato).

A fronte di questa tendenza, anticipare i contenuti di un ipotetico giudizio incentrato sulle sorti di un contratto di logistica o sul se l’inadempimento sia o meno giustificato rischia di essere operazione avventurosa, data la centralità degli apprezzamenti di fatto e della correlata discrezionalità rimessa al singolo giudice.

Ne è testimonianza la scelta del legislatore italiano che, a differenza del Governo cinese – il quale rilascia “certificati di forza maggiore” per supportare le proprie imprese nell’impossibilità di adempiere a commesse provenienti dall’estero – ha ritenuto piuttosto di emanare una disposizione d’ordine generale (art. 91 D.L. 18/2020), a norma della quale “il rispetto delle misure di contenimento di cui [al] presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

Così facendo, aggiungendo cioè alle esimenti sin qui più frequentemente evocate per esonerare il debitore della prestazione da responsabilità (caso fortuito, forza maggiore e factum principis) una ulteriore ipotesi normativamente tipizzata, il legislatore stabilisce che l’adozione di uno dei comportamenti imposti dalla recente legislazione emergenziale per contenere la diffusione del virus (ad es.: chiusura delle attività commerciali; possibili limitazioni ai servizi di trasporto) dovrà essere resa di volta in volta oggetto di una valutazione per escludere la responsabilità del debitore per il suo ritardato o mancato adempimento. Ciò che pone l’accento sulla discrezionalità dell’apprezzamento, rendendo ostiche valutazioni d’ordine generale operate a priori sulle conseguenze di eventuali ritardati o inesatti adempimenti di contratti di fornitura di servizi di logistica.

Indispensabili indicazioni, per stabilire se la prestazione contrattualmente promessa sia o meno esigibile, provengono dalla normativa emanata con cadenza pressoché quotidiana. E’ il caso delle regole per il contenimento della diffusione del Covid-19, per la sicurezza dei lavoratori e dei viaggiatori nei settori del trasporto e della logistica, stabilite nel protocollo siglato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con le organizzazioni di categoria e le rappresentanze sindacali pubblicate sul sito del MIT e, da ultimo, dal DPCM 22 marzo 2020. Tale decreto, se per un verso stabilisce che “è sempre consentita l’attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici nonchè di   prodotti   agricoli   e alimentari” e “ogni   attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza” (art. 1 co. 1 lett. f), escludendo in modo espresso dal novero delle attività sospese gran parte delle attività rientranti tra quelle oggetto dei servizi di logistica (trasporto terrestre, marittimo, per vie d’acqua e aereo, di magazzinaggio, di imballaggio e confezionamento conto terzi), per altro verso impone la sospensione di molte altre attività industriali (si pensi, per tutte, al settore della moda, le aziende del cui comparto figurano tra le maggiori committenti dei servizi di logistica nel panorama italiano), alle quali sarà consentito completare le attività necessarie alla sospensione,  compresa  la  spedizione  della  merce  in giacenza, purché ciò accada entro il 25  marzo  2020 (art. 1 co. 4).

 

Le prescrizioni contenute in tali normative forniranno un quadro di riferimento destinato ad integrare i contenuti del contratto ai sensi dell’art. 1374 c.c., a norma del quale “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”.

Il nuovo quadro di obblighi normativamente prescritti a causa dell’epidemia, oltreché l’epidemia per sé considerata quale circostanza imprevedibile con effetti esonerativi, inevitabilmente esplicheranno effetti sulle modalità esecutive dei rapporti contrattuali in corso, potendo escludere che dall’inadempimento derivino conseguenze risarcitorie in capo a chi se ne sia incolpevolmente reso responsabile.

Medesimi effetti avranno le stesse condotte della propria controparte contrattuale: si pensi, quanto al committente, a quelle obbligazioni il cui esatto adempimento (per tutte la descrizione, anche quantitativa, dei prodotti e la tempestiva comunicazione di ordini e preavvisi di consegna) è condizione perché l’impresa di logistica possa gestire in modo accurato i servizi pattuiti e, quanto a quest’ultima, a quelle prestazioni (è il caso delle condizioni di lavoro di chi deve manipolare o immagazzinare le merci, o a chi debba effettuarne il trasporto) più direttamente impattate dell’epidemia, sia sul fronte della concreta erogazione dei servizi promessi che sull’approvvigionamento del servizio presso terzi subfornitori.

Gli inadempimenti dell’una o dell’altra parte andranno dunque valutati avuto riguardo all’impatto sia delle peculiari condotte imposte dalla normativa emergenziale sia degli effetti dell’epidemia.

Una ulteriore situazione che si sta manifestando è, però, quella di difficoltà d’approvvigionamento che si sta profilando o sta già colpendo sia il lato committenza che quello delle imprese di logistica. Si pensi, a titolo esemplificativo, al crollo numerico degli autisti stranieri cui spesso i vettori utilizzati dalle imprese di logistica facevano ricorso per soddisfare l’abbondanza di domanda e all’impatto che tale circostanza produce sui noli terrestri e, indirettamente, sul corrispettivo pattuito per le prestazioni di logistica.

Laddove si dovesse propendere per la soggezione della fattispecie alle norme in materia di appalto, fenomeni di eccessiva onerosità quale quello appena descritto – ove si dimostri essere causalmente dipesa dal verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili (e l’insorgenza della pandemia lo è) –  dovrebbero essere regolati, a seconda che si ritenga applicabile l’art. 1677 c.c., come parrebbe preferibile, oppure la generale disciplina dell’appalto, rispettivamente dall’art. 1467 c.c. ovvero dall’art. 1664 c.c. Applicando l’art. 1467 c.c. l’eccessiva onerosità attribuirebbe alla parte che deve la prestazione divenuta eccessivamente onerosa il diritto di domandare la risoluzione del contratto, risoluzione che la controparte potrebbe evitare offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.Applicando l’art. 1664 c.c. la parte la cui prestazione è divenuta eccessivamente onerosa avrebbe titolo di chiedere senz’altro una revisione del prezzo, qualora però l’aumento o la diminuzione nel costo dei materiali o della mano d’opera superi il decimo del prezzo complessivo convenuto; la revisione potrebbe essere accordata solo per quella differenza che ecceda il decimo.

La necessità di ricondurre ad equità il corrispettivo dovuto per le prestazioni pattuite, laddove la pandemia incida in modo significativo sul loro costo, può essere l’occasione per porre mano anche ad altre disposizioni contrattuali (si pensi ai volumi di riferimento, alle norme relative all’accesso nei magazzini, all’allocazione dei costi di smaltimento di prodotti deperibili), o ai documenti accessori del contratto (procedure operative ecc.) onde adeguarle ad una situazione che ha modificato radicalmente il contesto sociale ed economico che era stato assunto a base della regolazione contrattuale degli interessi dell’impresa committente e dell’impresa di logistica.

Tra queste quella forse più urgente è la revisione dei documenti che stabiliscono le procedure operative, per adeguarle all’emergenza sanitaria, per prevenire l’esposizione del personale e di terzi al contagio, stabilendo le nuove prassi rese necessarie dalla pandemia e disciplinando dettagliatamente tutte le attività di pertinenza di ciascuna delle parti. Por loro mano in modo espresso offre il vantaggio di adeguarle tenendo conto delle peculiari esigenze delle aziende parti del contratto, non dovendo subire passivamente una supina soggezione ai contenuti delle normative emanate dal Governo, applicabili come si è visto ai sensi dell’art. 1374 c.c.

A tale revisione potrebbe rivelarsi opportuno associare una modifica della parte economica del contratto ed eventualmente di quelle ulteriori previsioni concernenti quei profili maggiormente proni a conseguenze connesse al Coronavirus, cercando di appianare fin d’ora eventuali disparità interpretative in modo che esse non debbano in futuro sfociare in contenziosi che, come accennato, si presentano d’esito quantomai incerto.

A cura dell’Avv. Alberto Pasinoalberto.pasino@studiozunarelli.com.

 

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