La normativa relativa alle procedure disciplinari non è compiutamente regolamentata dalla legge e/o dalla contrattazione collettiva e presenta, nei fatti, alcune lacune dispositive che vengono spesso colmate dall’intervento di giurisprudenza e dottrina.

Salvo alcune eccezioni (v. CCNL Logistica, Trasporto Merci e Spedizioni), infatti, il Legislatore e la contrattazione collettiva omettono di prevedere o disciplinare in maniera compiuta la fase antecedente e prodromica all’adozione del provvedimento disciplinare, quella della contestazione. Non è espressamente previsto, infatti, alcun termine entro cui la lettera di contestazione debba effettivamente pervenire al lavoratore.

Sul punto, a ben vedere, esiste unicamente un laconico principio giurisprudenziale e dottrinale – talora ripreso dai Contratti Collettivi di più recente rinnovo – che specifica che il canone di riferimento a cui si suole tendere è quello della tempestività.

Per ovviare alla generalità di tale principio, si è pertanto provveduto nel corso degli anni a specificarne i limiti e l’essenza fino a chiarire come lo stesso debba essere letto ed interpretato alla luce del caso concreto e debba decorrere dall’adeguata conoscenza dei fatti, non potendosi preventivamente e perentoriamente ipotizzare un termine entro cui il datore di lavoro decade dal diritto di contestazione.

Ma cosa accade se la contestazione non rispetta il canone della tempestività? Ovvero, in altri termini, quali sono le conseguenze giuridiche di una contestazione tardiva?

Un primo orientamento giurisprudenziale, in applicazione della più rigida lettura dell’art. 18, Stat. Lav., ritiene che «un fatto non tempestivamente contestato ex art. 7, L. n. 300/70 non può che essere considerato come “insussistente” non possedendo l’idoneità ad essere verificato in giudizio. Si tratta in realtà di una violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro a carattere radicale che, coinvolgendo i diritti di difesa del lavoratore, impedisce in radice che il Giudice accerti la sussistenza o meno del “fatto”, e quindi di valutarne la commissione effettiva, anche a fini della scelta tra i vari regimi sanzionatori. Non essendo stato contestato idoneamente ex art. 7 il “fatto” è tamquam non esset e quindi “insussistente” ai sensi a dell’art. 18 novellato»  (Cass. Civ., Sez. Lav., 31.01.2017, n. 2513).

Contrariamente, pur ritenendo censurabile il comportamento dilatorio del datore di lavoro, recenti pronunce riconducono tale vizio nell’alveo della tutela di natura indennitaria “forte” prevista al comma 5 dell’art. 18, Stat. Lav., il quale non condanna un’ipotesi di insussistenza del fatto posto a fondamento della contestazione ma persegue una generale assenza di giusta causa ovvero di giustificato motivo.

Sul punto, quindi, sono intervenute definitivamente le Sezioni Unite della Suprema Corte le quali hanno correttamente evidenziato come «la violazione derivante dalla tardività notevole e ingiustificata della contestazione disciplinare è sanzionabile alla stregua del citato art. 18, comma 5 da ritenersi espressione della volontà del legislatore di attribuire alla c.d. tutela indennitaria forte una valenza di carattere generale, secondo il quale il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.» (Cass. Civ., S.U., 27.12.2017, n. 30985).

Le considerazioni che precedono conducono a ritenere che, a prescindere dall’adesione alla prima piuttosto che alla seconda tesi, l’Azienda che intenda avviare un procedimento disciplinare avrà l’onere di adoperarsi affinché le tempistiche delle fasi procedimentali iniziali di contestazione non siano oltremodo dilatate e che la contestazione non venga indirizzata al lavoratore mesi dopo la conoscenza effettiva e completa da parte della Società dell’evento addebitabile. Diversamente, l’intero procedimento disciplinare sarebbe viziato e non potrebbe produrre gli effetti per cui veniva preposto.

 

(a cura dell’ avv. Marcello Giordani, marcello.giordani@studiozunarelli.com)

 

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