L’ordinanza della Corte di Cassazione del 4 ottobre 2017, n. 23192 affronta ancora una volta la questione della rilevanza della pattuizione in un contratto di mutuo, alla data della stipula, di tassi di mora superiori al tasso soglia d’usura.
La vicenda scaturisce dalla domanda di ammissione allo stato passivo di un’azienda fallita, presentata da un Istituto di credito per il capitale di un mutuo fondiario e degli interessi previsti dal contratto.
Il Giudice Delegato aveva ammesso al passivo la banca per la sola sorte capitale del mutuo affermando di non poter riconoscere gli interessi moratori, atteso che – come emerso dalla CTU- al momento della pattuizione il tasso degli interessi moratori era superiore al tasso soglia: vertendosi, dunque, in ipotesi di usura originaria (e non in quella di usura sopravvenuta come dedotto dalla banca) il Giudice aveva concluso, in applicazione dell’art. 1815 c.c., che la pattuizione del tasso di mora usurario determinava la gratuità del rapporto e dunque nulla era da riconoscersi a favore della Banca a titolo di interessi.
Impugnato lo stato passivo da parte della Banca il Tribunale di Matera rigettava l’opposizione confermando l’impostazione del Giudice Delegato.
La Banca proponeva, dunque, ricorso per cassazione deducendo quale un unico motivo la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1815 c.c. e della l. n. 108/1996, in quanto il Tribunale ha erroneamente rilevato che, al fine del superamento del tasso soglia, si deve valutare l’eventuale usurarietà del tasso di mora e posto che, nel caso di affermata nullità degli interessi usurari moratori, detta nullità, non potrebbe colpire gli interessi corrispettivi i quali non superino il tasso soglia”.
Nel richiamare altre precedenti pronunce sul tema la Corte ha chiarito che “in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 legge n. 108/1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che gli interessi moratori” (già statuito da Cass. n. 5324/2003), di talchè risulta manifestamente infondato il ricorso contro la statuizione del giudice delegato che abbia ammesso la banca al passivo per la sola sorte capitale del rapporto di credito, sulla base del rilievo dell’usurarietà originaria del tasso di mora. Nell’argomentare sinteticamente la propria ordinanza la Corte ha ricordato come da un lato, l’art. 1815, co. 2, c.c. stabilisce che “se sono dovuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” e che ai sensi dell’art. 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in l. 28 febbraio 2001, n. 24, si debbono intendere usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento; dall’altro lato ha ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha già statuito che “è noto che in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della I. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Casx-apple-data-detectors://7s. 4 aprile 2003, n. 5324). Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perchè non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso”.
Nel prendere posizione su quale sia l’interpretazione da dare all’art. 1815, comma 2° c.c., la pronuncia contribuisce ad animare un dibattito ormai molto acceso in giurisprudenza, mostrando di aderire ad un orientamento già espresso da taluni giudici di merito (Corte di Appello Venezia 342/2013; Tribunale di Parma 14.7.2014, Tribunale di Padova 8.5.2014, Corte di Appello di Roma, 4323/2016, Tribunale di Bari 8.10.2016 e Tribunale di Matera, 19.5.2016)
A cura dell’ufficio di Trieste, Avv. Francesca Greblo, Tel: 0407600281