L’applicazione “Uber” – piattaforma informatica che consente di mettere in collegamento coloro che chiedono e coloro che offrono servizi di trasporto -, dopo le sentenze emesse dalle Sezioni Specializzate in materia di Imprese del Tribunale di Milano, nel luglio 2015, e Torino, nel marzo 2017, è stata nuovamente chiamata in causa innanzi ad un Giudice italiano, che ha dovuto vagliare la compatibilità (o meglio l’incompatibilità) del servizio con la normativa nazionale.
Nello specifico, oggetto della disputa è il sistema “Uber Black”, il quale consente agli utenti, tramite la stessa applicazione, di entrare direttamente in contatto con autisti muniti di licenza per il servizio di noleggio con conducente (n.c.c.).
Ad occuparsi della vertenza è stato il Tribunale di Roma, sez. IX civile, con un’ordinanza del Giudice Alfredo Landi, pubblicata il 7 aprile scorso.
Le associazioni di categoria di tassisti, le società che gestiscono i servizi taxi e n.c.c., oltre ad alcuni autisti, mediante un ricorso cautelare, hanno contestato il fatto che il sistema “Uber Black” non rispetti quanto previsto dalla normativa quadro in materia di autoservizi pubblici non di linea (Legge quadro n. 21/1992 così come modificata dall’art. 29, comma 1 quater, del D.L. n. 207/2008, convertito in Legge n. 14/2009). Segnatamente, gli autisti che operano mediante il servizio “Uber Black”, invece di stazionare le vetture nella apposita rimessa e ricevere le prenotazioni presso la medesima, come previsto dalla normativa in materia (art. 3, L. 21/1992), intercettano i clienti circolando o sostando sulla pubblica via ed esercitando, quindi, un servizio riservato ai taxi. Inoltre, gli autisti di “Uber” non sono soggetti a tariffe predeterminate, come avviene invece nel caso dei taxi, e possono dunque mutare il corrispettivo dei propri servizi in base all’andamento del mercato, aumentandoli o diminuendoli nei momenti di maggiore o minore richiesta. Tale sistema consente agli “autisti Uber” di operare stabilmente in comuni o regioni diverse da quelle da cui hanno ottenuto l’autorizzazione, e dove dovrebbe essere sita la rimessa, violando così contemporaneamente sia la normativa prevista per il n.c.c. che quella prevista per i taxi.
Il giudice del Tribunale di Roma ha così riconosciuto l’indebito vantaggio di “Uber” nei confronti dei ricorrenti, per il mancato rispetto delle tariffe fissate per l’erogazione dei servizi di trasporto pubblico non di linea e per l’accesso ad un’utenza indifferenziata, altrimenti non raggiungibile. Il suddetto Tribunale, accertato pertanto che tali condotte integrino i presupposti della concorrenza sleale ex art. 2598, comma 3, c.c., ha inibito alle società del gruppo Uber di offrire il servizio “Uber Black” e gli altri servizi ad esso affini (es. Uber-Van, Uber-Tour, Uber-Suv ecc…) con riferimento alle richieste provenienti dal territorio italiano.
Per completezza espositiva, si rileva che, dopo pochi giorni dalla pubblicazione della menzionata ordinanza, i legali della multinazionale hanno impugnato il provvedimento, chiedendo ed ottenendo la sospensione dello stesso, con conseguente ripristino (momentaneo) del servizio.
In ogni caso, il problema sollevato dalla vicenda giudiziale esaminata – ossia se il servizio “Uber”, che opera secondo una normativa straniera, possa e debba essere limitato in Italia dove la normativa è diversa – permane. Il nodo potrà essere sciolto solamente tramite un adeguamento legislativo, volto, da un lato, a rendere il mercato dei servizi pubblici non di linea più “concorrenziale”, introducendo nuovi prestatori di servizi, dall’altro, a non avvantaggiare alcune categorie a discapito di altre.