Nelle ultime settimane si è assistito all’acceso dibattito circa i lavori in Commissione Affari sociali sulle norme in materia di consenso informato e dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari (comunemente note anche come D.A.T. o “testamento biologico”).
Per dichiarazione anticipata di trattamento si intende quel documento contenente le dichiarazioni di volontà con le quali un soggetto decide anticipatamente alcune condizioni relative alle cure cui intende sottoporsi nel momento in cui non sarà più in grado di intendere e di volere, risultando quindi impossibile esprimere il proprio consenso.
Nonostante l’attenzione, anche mediatica, su tale tema, l’ordinamento italiano non è, ad oggi, dotato di una legge che disciplini la materia.
Le domande che sempre più spesso, come professionisti, ci vengono poste sono: quali soluzioni vi sono, se vi sono, in assenza di una legge che regoli la materia? Le dichiarazioni anticipate di trattamento che ho rilasciato al Notaio hanno valore giuridico, in assenza di una legge?
Come in molti altri settori, la giurisprudenza è intervenuta per tentare di porre rimedio al suddetto vuoto normativo, arginando il rischio di inefficacia di una simile dichiarazione. Vi è una pronuncia che, nonostante non possa dirsi recente, più di tutte offre un’innovativa soluzione che ancora oggi, in assenza di una legge, indica una strada giuridicamente percorribile.
Si tratta di una significativa pronuncia del Tribunale di Modena del 5 novembre del 2008. Con tale pronuncia il Tribunale statuì che: “l’interessato affetto da grave patologia, che intenda tutelare preventivamente il proprio dissenso a trattamenti terapeutici invasivi in caso di perdita di salute, può ricorrere all’autorità giudiziaria affinché nomini un amministratore di sostegno che dia attuazione a tale volontà”.
Il Tribunale di Modena ha individuato, dunque, nell’istituto dell’amministrazione di sostegno, lo strumento per consentire che la manifestazione di volontà circa i trattamenti sanitari abbia concreti effetti giuridici, nonostante il vuoto normativo.
L’istituto dell’amministrazione di sostegno, così come disciplinato dal nostro ordinamento, è rivolto a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi offrendo uno strumento di assistenza che sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire.
Ai sensi dell’art. 408, comma II c.c., l’amministratore di sostegno può essere designato anche dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, con ciò attribuendo rilievo al rapporto di fiducia tra il designante e la persona prescelta, che sarà vincolato a realizzare, in nome del designante e su successiva autorizzazione del Giudice tutelare, le intenzioni del designante contenute nel medesimo atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Una volta che l’interessato avrà espresso la propria preferenza in favore del soggetto designato e trasposto le proprie volontà circa i trattamenti sanitari nell’atto pubblico (o scrittura privata autenticata), occorrerà attivare la procedura giudiziale volta ad ottenere dal Giudice competente la formalizzazione della nomina del soggetto designato.
Il Giudice ha, in questi casi, il ruolo di controllore dell’operato dell’amministratore di sostegno, a tutela degli interessi del soggetto incapace. Perciò, una volta nominato, il soggetto designato avrà l’obbligo di rispettare le volontà del soggetto interessato, espresse nel D.A.T., e di rendere conto del suo operato al Giudice tutelare. Va da sé che il Giudice tutelare fungerà anche da interprete delle volontà del soggetto interessato, nel caso in cui dovesse verificarsi una situazione di incertezza e/o difficoltà interpretativa.
È, tuttavia, controverso il momento esatto in cui l’interessato possa adire il Giudice tutelare per l’istituzione dell’amministratore di sostegno, precedentemente individuato dal diretto interessato. Alcune pronunce tendono a non dare peso al concreto manifestarsi dello stato di infermità dell’interessato, mentre altre dispongono che la procedura di nomina giudiziale possa essere attivata solo nel momento in cui il suddetto stato di infermità si sia verificato in concreto: secondo tale ultimo orientamento giurisprudenziale, occorrerebbe, dunque, attendere il manifestarsi dell’incapacità del soggetto da tutelare prima di depositare il ricorso al giudice competente.
Poiché la materia non ha ancora una disciplina legislativa e la giurisprudenza è, come troppo spesso accade, non univoca, è a maggior ragione importante che il soggetto interessato si affidi a un professionista del settore.
(A cura dell’Avv. Stefano Campogrande – stefano.campogrande@studiozunarelli.com)
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