L’estensione del contraddittorio a soggetti terzi a vario titolo coinvolti in una vertenza giudiziaria non è più una certezza. Nello svolgimento della propria attività, lo Studio ha assistito, presso il Tribunale di Bologna, al consolidarsi di un indirizzo giurisprudenziale che, a modifica della tradizionale interpretazione dell’art. 269.c.cp.c., rigetta le istanze di chiamate in causa di terzi.
Si tratta di un orientamento di forte impatto nella gestione della difesa processuale in quanto, allorché si è citati in giudizio per richieste di condanna a vario titolo configurabili, non è più scontato – ed anzi, a questo punto, è da escludere – che si possa ottenere, nel medesimo contesto giudiziario, la manleva di soggetti terzi.
Con una recente ordinanza del 4 gennaio 2017, ad esempio, in una causa avente ad oggetto richieste risarcitorie a titolo di responsabilità extracontrattuale, il Tribunale di Bologna ha rigettato l’istanza di chiamata in causa formulata dal convenuto a titolo di manleva nei confronti del terzo, argomentando come segue: “Considerati i principi esposti da Cass SU 4309/2010 e ritenuto in particolare che l’accertamento dell’eventuale responsabilità di terzi, concorrente o meno con quella della parte convenuta, estranea ad (nè coperta da) un rapporto di garanzia propria, non può che comportare un allungamento dei tempi del processo a discapito della domanda attorea, così pregiudicandosi in maniera non indispensabile il principio costituzionale di ragionevole durata del processo, ancor più vulnerato nello specifico, posto che la circostanza era (o poteva/doveva essere) ben nota prima del processo anche all’attore e considerate le complessive difese della chiamante e la possibilità di azione in separata sede”.
Il principio ispiratore di detto indirizzo è quindi la celerità nei processi, che sarebbe pregiudicata dal coinvolgimento di terze parti, estranee al giudizio incardinato in prima battuta dagli attori.
L’ordinanza appena enunciata s’inserisce sulla scia di altre pronunce con le quali ulteriori giudici felsinei hanno rigettato le istanze di chiamata in garanzia, seppur ritualmente e tempestivamente formulate.
Il primo dicembre 2016, ad esempio, in una causa in materia di contratto di logistica avente ad oggetto richieste risarcitorie per danni da bagnamento delle merci stoccate in magazzino, è stata negata la richiesta formulata dall’operatore logistico citato in giudizio dal committente di estendere la lite al proprietario dell’immobile “ritenuto che non sussistano i presupposti per autorizzare la richiesta chiamata in causa di terzo fondata su rapporto del tutto autonomo e diverso da quello esistente tra le parti”.
E così pure, in tema di appalti, con una ordinanza dell’8 agosto 2016 è stato negato, al costruttore di un’opera edilizia citato per vizi strutturali, di chiamare in manleva il subappaltatore, sebbene esigenze di tutela del contradditorio nelle operazioni peritali della espletanda CTU estimativa del danno reclamato suggerissero il coinvolgimento contestuale di tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione dell’opera.
Tale indirizzo era già stato tracciato con un precedente orientamento giurisprudenziale con cui si erano volute evitare domande temerarie verso terzi chiamati, statuendo che allorché l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria, è quest’ultimo che deve pagare al terzo le spese processuali.
Adesso, però, l’orientamento che sta emergendo è nel senso di negare tout court contenziosi con più parti (fatti salvi i casi di litisconsorzio necessario), con conseguenze che potrebbero essere pregiudizievoli in termini di contrasto di giudicato, oltre che di difesa processuale del convenuto, in quanto le domande di manleva, se anche accolte con separato giudizio, opererebbero all’esito di un secondo procedimento, con evidente distacco temporale e ulteriore aggravio di spese legali.
A cura dell’Avv. Stefano Campogrande (stefano.campogrande@studiozunarelli.com)