La legge n. 104/92 è una delle previsioni normative più note e dibattute, anche nella cronaca giornalistica non specializzata, in ragione delle prerogative e dei diritti attribuiti alla persona del lavoratore per la tutela di familiari e di prossimi congiunti in condizioni di infermità.
Constata l’impossibilità di assicurare in tutto il territorio nazionale uno standard uniforme di tutela dei soggetti in condizioni di fragilità, la soluzione normativa accolta ha ripiegato su un rimedio residuale rappresentato dal ricorso alla risorsa “familiare” attraverso il riconoscimento di un favor, nel “riavvicinamento a casa” attraverso peculiari permessi, di quei lavoratori che siano chiamati a prestare un’assistenza continua al familiare diversamente abile od infermo.
Il legislatore di fine secolo scorso ha, parimenti, avviato il processo di ravvicinamento della disciplina del lavoro pubblico al lavoro comune eppure, a distanza di oltre un ventennio dai primi provvedimenti normativi adottati in questo senso, continuano a residuare evidenti differenze di impatto della disciplina del lavoro pretesamente comune e la recente novella dell’art. 33 della l. 104/92 (ad opera della l. 183/10) dimostra in tutta la sua magnitudo la distanza fra le due discipline.
Il nuovo testo del comma 3 dell’art. 33 della l. 104/92 prevede che: “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità…”.
Dalla disposizione riprodotta si ricava che gli unici presupposti oggettivi richiesti per la concessione dei permessi sono due: A) l’assenza del ricovero a tempo pieno della persona in situazione di disabilità; B) la presenza di un “referente unico” e cioè la presenza di un solo lavoratore che fruisce del permesso retribuito mentre non è più richiesto l’estremo della continuità assistenziale.
Il Consiglio di Stato, con decisione 10 gennaio 2012, n. 66, aveva, quanto all’impiego pubblico non privatizzato, tuttavia affermato che: “la nuova disciplina potrà trovare applicazione per il personale appartenente alle Forze Armate, alle Forze di polizia, nelle quali rientra la Polizia Penitenziaria, al Corpo Nazionale dei VV.FF. solo quando verranno emanati gli appositi provvedimenti legislativi previsti dall’art. 19 della richiamata legge [n.d.r. 104/92]”.
L’orientamento restrittivo, originariamente accolto dal massimo organo della giustizia amministrativa, appariva giustificato dalla “peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti” (Consiglio di Stato, 10 gennaio 2012, n. 66).
Una chiara incrinatura nell’uniformità di interpretazione della disposizione in commento si legge in una recentissima decisione del Tar Lombardia che afferma: “Quanto all’applicabilità della detta disciplina al personale appartenente alle Forze Armate ed alle Forze di Polizia, nelle quali rientra la Polizia Penitenziaria, osserva il Collegio che il Consiglio di Stato, in un’occasione, ha ritenuto che la stessa potrà trovare applicazione solo quando verranno emanati gli appositi provvedimenti legislativi previsti dall’art. 19 della citata legge n. 183/2010…[ma]…La giurisprudenza successiva, alla quale il Collegio aderisce, è stata invece di contrario avviso, ritenendo che il detto art. 19 sia una disposizione meramente programmatica e che l’interpretazione costituzionalmente orientata del visto art. 33 L. n. 104/92, come novellato dalla L. n. 183/2010, ne impone l’immediata applicazione anche al personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia” (Tar Lombardia, Milano, 26 febbraio 2013, n. 527).
La compressione del diritto costituzionale di solidarietà sociale, cui risponde la ratio dell’art. 33, sembra avere carattere eccezionale e temporaneo anche con riferimento ai membri delle Forze armate.
(A cura dell’Ufficio di Bologna – Avv. Antonio Salamone – 051 2750020)